Attila Sallustro

Attila Sallustro

Attila Sallustro

Attila Sallustro (Asunción, 15 dicembre 1908 – Roma, 28 maggio 1983) è stato un allenatore di calcio e calciatore paraguaiano naturalizzato italiano, di ruolo attaccante. Spesso è indicato come Sallustro I per distinguerlo dal fratello Oreste (Sallustro II). Nato ad Asunción, figlio di Anna D’Amato e Gaetano Sallustro, ebbe due fratelli minori: Oreste, anch’egli calciatore, e Oberdan, che divenne dirigente FIAT in Argentina e venne sequestrato e ucciso da un commando di rivoluzionari argentini nel 1972.

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(da “La grande storia del Napoli”, di Mimmo Carratelli)

Sbarcando da un piroscafo a tre fumaioli che in un mese aveva attraversato l’Atlantico, Attila arrivò a Napoli a 12 anni col padre, Gaetano, due fratelli, Oreste e Oberdan, e una “mamy” di colore, Evelina, fedelissima alla famiglia. Era il 1920 e via Caracciolo si specchiava nel mare illuminata dai lampioni a gas. Oreste e Oberdan si iscrissero all’università laureandosi in ingegneria. Attila, tralasciando gli studi, imboccò un’altra strada. A San Pasquale a Chiaia vive ancora Bianca, 96 anni, vedova di Oreste. In Paraguay Attila s’era avvicinato al pallone per guarire dalle febbri reumatiche. Un dottore gli aveva consigliato di fare sport e a otto anni cominciò a giocare in una squadra di “pulcini” di Asuncion. Vi giocò quattro anni da mezzala. Dei figli di Gaetano Sallustro, Attila era il più indipendente e il più vivace. A Napoli andava a giocare a pallone in Villa Comunale dove fu notato da un talent-scout dell’epoca, Mario De Palma, che lo portò tra i boys dell’Internazionale, una delle due squadre napoletane. Dopo la fusione dell’Internazionale e del Naples, a 17 anni Attila diventò il centravanti della nuova squadra, l’Internaples. Quando nel 1926 nacque il Napoli, Sallustro ne fu il numero 9. Aveva 18 anni. L’allenatore Garbutt lo chiamava “gaucho” e non gradiva troppo il suo gioco individualista. Ma, messo a posto l’attacco, Sallustro esplose.

Partivo da centrocampo, scartavo due, tre avversari e arrivavo in porta col pallone.

Per la rapidità dei suoi guizzi fu definito “il veltro”. Un levriero. Fisico apollineo, alto, abbronzato, testa ricciuta e bionda, occhi neri, divenne il campione più amato dai napoletani. In via Filangieri, i tifosi lo reclamavano al balcone della sua casa al numero 11 per applaudirlo. Suo padre, considerando disdicevole che prendesse soldi per fare un’attività sportiva, gli impose di giocare gratis. Così, dal calcio, nei primi tempi Attila ricavò tagli di stoffa, camicie di seta e un orologio d’oro.

Sono stato il primo oriundo e l’ultimo dei dilettanti del calcio italiano.

La rivalità con Peppino Meazza, il “balilla” dell’Ambrosiana-Inter, di due anni più giovane, fece epoca. In nazionale, Pozzo convocava il milanese e diede poco spazio a Sallustro (due partite: nel ’29 Italia-Portogallo 6-1 a Milano, un gol, e nel ’32 Italia-Svizzera 3-0 a Napoli con altri due napoletani, Colombari e Vojak). (ndr: in allenamento, qualche giorno prima, aveva segnato una tripletta alla Salernitana). Nei confronti di Meazza si cavò comunque molte soddisfazioni.

9 agosto 1930 – Due gol nella finale dei Mondiali universitari

Nel 1932 risolse il match con l’Ambrosiana (1-0) e regalò al milanese una medaglia d’ oro. In altre due partite, mise a segno altrettante doppiette trascinando il Napoli alla vittoria sulla squadra di Meazza (4-1 e 3-1). Gli piaceva battere soprattutto Combi, il mitico portiere della Juventus: gli rifilò due gol nel 2-0 del 1932. Il padre rientrò in Paraguay con Oberdan e Attila rimase a Napoli col fratello Oreste (che giocò 40 partite nel Napoli, lo chiamavano Sallustriello) ed Evelina, la fedelissima “mamy”. Abbandonò gli studi e passò professionista per necessità: 900 lire al mese e 50 lire di premio-partita negli anni Trenta. Divenuto il condottiero del Napoli, lo stipendio salì a tremila lire. Dopo una clamorosa vittoria a Modena (5-0), ebbe in regalo una “Balilla 521” nera e il giorno che, in via Roma, investì un passante, questi, riconoscendolo, gli disse: “Scusate tanto, è colpa mia. Voi potete fare tutto quello che volete…”.

4 novembre 1931 – “Bisogna sapere cosa sia Sallustro a Napoli”
2 marzo 1932 – “Sallustro nun sbaglia maje”

Nell’agosto del ’32 il Littoriale scrive che Sallustro trascorre la sua estate facendo i bagni a Coroglio con Cavanna.

Il Napoli andava spesso al Teatro Nuovo per gli spettacoli di varietà della Compagnia Molinari. La soubrette russa Lidia Johnson, dopo avere volteggiato fra le sue splendide ballerine, chiedeva provocatoriamente al pubblico: “Con quale delle mie ragazze vorreste fare un figlio?”. Una sera, Sallustro rispose: “Lei”. E indicò una ragazza ben formata e vivacissima. Era la figlia della soubrette, alta e bellissima, reginetta del charleston coi capelli color rame alla maschietta. Fu il colpo di fulmine fra Sallustro, che aveva 24 anni, e Lucy d’Albert, che ne aveva 15 ed era nata a Mosca. Si sposarono nel 1934. Quando Lucy si trasferì a Roma scritturata dal teatro “Quattro Fontane”, Sallustro voleva seguirla. La Roma offrì 250 mila lire al Napoli per averlo. Lauro si oppose. Si racconta che un tifoso avvicinò Sallustro per strada dicendogli: “Se andate a Roma, io vengo con voi. Però cercate di non farlo perché tengo moglie e come faccio a portarmela appresso?”. La “stella” di Sallustro declinò con gli anni e molti vollero attribuirne il tramonto alla passione amorosa per la splendida moglie. Giocò nel Napoli dal 1926 al 1937. Dopo 11 stagioni, 262 partite e 103 gol, Sallustro concluse la sua carriera, a trent’anni, nella Salernitana. Poi si stabilì a Roma con la moglie Lucy e il figlio Alberto. Tornò a Napoli nel 1960, direttore per vent’anni dello stadio San Paolo. Morì a 75 anni nella sua casa romana alla Farnesina. Era il 1983. Sua moglie morì l’anno dopo.

Non ho conosciuto questo grande calciatore, ma so che ha fatto grande il Napoli. è venuto prima di me ed è giusto che lo stadio venga dedicato a Sallustro. (Diego Maradona)

Ma si oppose il vescovo di Pozzuoli Sorrentino che aveva giurisdizione religiosa su Fuorigrotta dove sorge il San Paolo. Disse: “E’ irriguardoso e irriverente sostituire il nome di San Paolo allo stadio. Qui sbarcò il santo”. Inutilmente il figlio Alberto ha chiesto con insistenza al sindaco Iervolino che lo stadio di Fuorigrotta fosse intitolato a suo padre. Ad Attila Sallustro è stata dedicata una strada di periferia, nel quartiere Ponticelli, ad insaputa del figlio che l’ha ritenuto un affronto e ha protestato energicamente in una lettera alla signora Iervolino chiedendo la revoca dell’iniziativa dell’ufficio toponomastico.

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Così invece Mimì Pessetti, sul sito di Riccardo Cassero, racconta l’amore fra Attila e la moglie

Elena Johnson è nata a Mosca. Sua madre, Lidia Abramovic, è una ballerina russa che si fa chiamare Ise Bluette, ex vedette delle Folies Bergeres. La giovane Elena segue le orme materne e sceglie un nome d’arte destinato a diventare famoso: Lucy d’Albert. Viene scritturata al Teatro Nuovo, a Napoli. Attila non disdegna le luci del varietà e una sera va al Nuovo con un manipolo di amici. Le evoluzioni del corpo sinuoso di Lucy lo affascinano e a fine spettacolo corre in camerino per conoscerla. Lucy, si dice, ha una storia con Umberto di Savoia, ma il colpo di fulmine per il bellissimo campione è inevitabile. Si sposano e le malelingue sentenziano che con le nozze comincia il lento e inesorabile declino del calciatore. Gli viene preferito Guglielmo Glovi, bomber di Bagnoli.

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Nel suo primo campionato, il giovane oriundo segnò dieci reti in 13 presenze, e anche grazie al suo contributo la squadra raggiunse la finale della Lega Sud, dove fu sconfitta dall’Alba Roma conquistando comunque la promozione in Divisione Nazionale. L’anno successivo, con la nascita dell’Associazione Calcio Napoli con presidente Giorgio Ascarelli, ne divenne attaccante titolare.

La prima stagione fu però fallimentare: inserita nel Girone A, la squadra partenopea raccolse solo un punto in diciotto gare (frutto di un pareggio in casa contro il Brescia), con Sallustro che mise a segno una sola rete (siglata in Inter-Napoli 9-2 del 19 dicembre 1926) pur giocando tutte le gare da titolare. Ripescato per motivi geografici (e grazie all’assicurazione, da parte del presidente Ascarelli, di migliorare la squadra), nella stagione successiva il Napoli migliorò le sue prestazioni, ottenendo la prima vittoria nella massima serie alla prima giornata (Napoli-Reggiana 4-0, con gol di Sallustro). L’attaccante mise a segno 5 reti in 10 presenze, ma la squadra era ancora lontana dalla qualità delle compagini settentrionali: la stagione terminò per i partenopei al terzultimo posto, ripescati ancora una volta grazie all’allargamento dei gironi da undici a sedici squadre].

La stagione 1928-1929 segnò un deciso miglioramento: il Napoli arrivò ottavo su sedici nel Girone B, a pari merito con la Lazio, soprattutto grazie all’apporto di Sallustro autore di 22 reti in 28 gare giocate (di cui ben cinque in un Napoli-Reggiana del 12 maggio 1929 vinto dai partenopei per 6-2). Lo spareggio per la partecipazione alla futura Serie A si giocò a Milano il 23 giugno 1929 e terminò 2-2: la ripetizione della gara non venne effettuata in quanto la FIGC promosse un ulteriore allargamento da sedici a diciotto squadre. La società intanto aggiunse nuovi rinforzi, specie in attacco: per il primo campionato di Serie A arrivarono infatti Antonio Vojak, prelevato dalla Juventus, e soprattutto Marcello Mihalich dalla Fiumana, che con Sallustro formò una coppia offensiva segnata da una grande intesa. Inoltre la dirigenza mise sotto contratto anche Oreste Sallustro, fratello di Attila, mettendo alla guida della squadra William Garbutt: la squadra raggiunse un inaspettato quinto posto finale, con Sallustro autore di tredici reti in 31 partite, a cui andarono aggiunte le 20 reti di Vojak e le 10 di Mihalich.

25 dicembre 1930 – Il Natale di Sallustro

L’anno successivo, nonostante un buon inizio, le prestazioni della squadra calarono sul finale di campionato, a causa (secondo molti) della dipartita di Sallustro per adempiere al servizio militare: il centravanti riuscì comunque a marcare undici reti in 29 gare, con la squadra che terminò al sesto posto.

Ancor più sottotono fu la stagione 1931-1932, con la squadra che terminò al nono posto anche a causa di un minor numero di gol segnati dagli attaccanti: anche se Sallustro segnò dodici reti in 26 presenze, mancò in particolare l’apporto di Vojak, che siglò “solo” nove marcature rispetto alle venti reti delle due stagioni precedenti.

L’annata 1932-1933 fu quella del rilancio: la squadra infatti, fin dall’inizio nelle prime posizioni della classifica, in testa per la prima volta nella storia, subì il ritorno della Juventus che vinse nove partite consecutive e alla fine conquistò il titolo con diversi punti di vantaggio. Di Sallustro il gol della vittoria contro la Juventus e uno dei tre segnati in casa del Milan. Al ritorno da Milano, con il Napoli in testa insieme al Torino, la squadra viene portata in trionfo a Mergellina, dove scompare la valigia di Sallustro: la sua scarpetta viene trafugata affinché possa essere esposta in un negozio di calzature nel rione Sanità. E per la prima volta in giornali accennano alla storia d’amore con Lucy d’Albert. Il 28 ottobre gioca all’Ascarelli con l’Italia centro-sud contro la Polonia (3-0, sette del Napoli in campo: due gol di Vojak e uno di Sallustro). Dopo la partita persa contro il Palermo, il centravanti viene criticato con durezza dal presidente Savarese: “Sallustro gioca come un cavallo con i paraocchi”. Nella gara successiva, Sallustro non va in campo contro l’Inter di Meazza per una misteriosa e improvvisa influenza. Per lo seso motivo salterà anche quella dopo con la Lazio. Ma sono due vittorie. I partenopei terminarono al terzo posto, a pari merito con il Bologna, mancando l’accesso alla Coppa Europa solo a causa del peggior quoziente reti rispetto ai felsinei: grandi protagonisti furono Sallustro (autore di 19 reti in 30 partite) e Vojak, con 22 reti all’attivo e terzo della classifica dei cannonieri.

La stagione 1933-1934 fu quella della conferma: nonostante un non eccellente avvio di campionato, i partenopei rimontarono nel girone di ritorno, terminando nuovamente al terzo posto (dietro a Juventus e Inter), conquistando per la prima volta la qualificazione alla Coppa Europa. I napoletani furono guidati ancora una volta da Vojak, che siglò 21 reti: Sallustro (nominato capitano della squadra) segnò solo cinque reti in 25 gare.

3 luglio 1933 – La Gazzetta dello Sport gli dedica un albo, curato da Arturo Collana.

7 luglio 1933 – Il Napoli deve smentire ufficialmente le voci su una sua imminente cessione. La settimana precedente s’era parlato di una cessione di Vojak per comprare Piola.

27 agosto 1933 – Sallustro salta la prima amichevole della stagione contro il Perugia per giocare da centravanti titolare della Nazionale goliardi in maglia nera contro l’Ambrosiana Inter. Finisce 4-1 per i milanesi. Dopo 38 minuti, per uno scontro con Faccio, Sallustro deve essere portato fuori a braccia: si parla di distorsione.
1 settembre 1933 – A Torino, nella prima partita dei Giochi internazionali universitari, Sallustro segna una tripletta: l’Italia batte 7-1 la Lettonia.
3 settembre 1933 – Sallustro segna ancora un gol nella partita che l’Italia universitaria vince per 3-1 contro la Germania.

9 ottobre 1933. Dopo la sconfitta per 3-0 a Bologna, viene multato dal club per scarso impegno.

21 dicembre 1933- Arturo Collana scrive su Littoriale un lungo articolo sulla sua crisi. Parla di giovinezza che può sfiorire anche a 25 anni se la vita non è più quella da atleta. Lo invita a cambiare oppure il Napoli dovrà prendere un altro centravanti.

26 dicembre 1933. Viene convocato dai dirigenti e invitato a cambiare stile di vita, dopo l’assenza dalla partita contro il Milan di due giorni prima.

La stagione 1934-1935 segnò un calo rispetto a quelle precedenti: i partenopei terminarono il campionato al settimo posto, mentre furono eliminati dalla Coppa Europa al primo turno contro gli austriaci dell’Admira Vienna: dopo lo 0-0 in trasferta e il 2-2 in casa, i napoletani persero lo spareggio disputato a Zurigo per 5-0. Sallustro, in questa occasione, fu multato di 2.500 lire in quanto accusato di “scarso impegno”: in tutta risposta, l’oriundo saltò gli allenamenti per due mesi e, di conseguenza, marcò in campionato sette reti in sole 20 presenze.
Nelle ultime due stagioni il Napoli terminò rispettivamente ottavo nel 1936 (eliminato ai quarti di Coppa Italia dal Milan) e tredicesimo nel 1937, ad un passo dalla zona retrocessione (ed eliminato ancora una volta ai quarti di Coppa Italia, questa volta dalla Roma). Sallustro fece registrare otto reti in 26 presenze nella sua penultima stagione, e cinque marcature in 8 gare nell’ultima annata con la maglia azzurra. In totale, con la maglia del Napoli l’oriundo disputò undici campionati segnando 106 reti.

Sallustro passò nella stagione 1937-1938 alla Salernitana, che guadagnò subito la promozione in Serie B: nella stagione seguente la squadra non riuscì però a ottenere la salvezza, terminando in diciassettesima posizione il campionato e retrocedendo nuovamente in Serie C: Sallustro marcò una sola rete in 14 presenze e per un breve periodo ricoprì anche l’incarico di allenatore della squadra, e si ritirò dal mondo del calcio giocato al termine della stagione..

Il 1º dicembre 1929 fu, con il compagno di reparto Marcello Mihalich, il primo giocatore del Napoli a giocare in Nazionale italiana, vestendo la maglia azzurra nell’amichevole contro il Portogallo, giocata a Milano: la vittoria andò agli azzurri per 6-1, con la quinta rete siglata dall’oriundo. In seguito, il commissario tecnico Vittorio Pozzo preferì loro Giuseppe Meazza e Giovanni Ferrari. Sallustro fece registrare in Nazionale solo un’altra presenza, il 14 febbraio 1932, nella gara contro la Svizzera vinta per 3-0. Marcò inoltre due presenze con la Nazionale B, nel 1930.

Dopo il ritiro dal calcio giocato, Sallustro si stabilì con la famiglia a Roma. Nel 1960 tornò a Napoli nelle vesti di direttore dello Stadio San Paolo, incarico che mantenne per oltre vent’anni fino al 1981.

Sallustro era per me un mito. Vedere che baciava la mano al comandante Lauro fu una grossa delusione. (Antonio Juliano)

 

Nel maggio del 1961 ebbe una breve parentesi come allenatore dei partenopei, subentrando ad Amedeo Amadei nella ultime due gare del campionato.
A lui sono dedicati una strada nel quartiere di Ponticelli, a Napoli, un piazzale a Casavatore e lo stadio comunale di Carbonara di Nola.

 

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